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Era il 9 ottobre 1981 quando fu rappresentato per la prima volta “Forza Venite Gente”. Il mondo era certamente molto diverso da oggi e bene hanno fatto i teatranti della Compagnia l’Alberone a riproporlo, al Teatro Principe di Palestrina, in scena ancora il 14, 15, 20 e 21 ottobre, 37 anni dopo per celebrare anche il decennale di fondazione della compagnia. Ma la novità è stata l’introduzione affidata al canto dell’ Inno delle scolte (sentinelle) di Assisi “Il Coprifuoco”, conosciuto anche come Squilla, risalente al 14° secolo. Allora le sentinelle sulle mura di Assisi si affidavano più alla protezione celeste che a quella delle armi umane:

O nostri santi che in cielo esultate…….Questa città col vostro amore salvate
E ancora oggi queste parole suonano profetiche. E la storia di San Francesco, patrono d’Italia, ci riporta alle radici cristiane d’Europa, a cercare uomini e donne, profeti e missionari, in una terra diventata una vigna deserta e incolta dove c’è ancora bisogno di sentinelle della notte.

Le azioni sceniche, bravi tutti gli attori, alternano un recitativo che vede Pietro di Bernardone, il padre di Francesco, alternarsi in piacevoli dialoghi con la “Cenciosa”.

Nella sua pazzia la Cenciosa ci appare in tutta la sua bontà e sincerità popolare e nel dialogo con Bernardone, forse proprio perché “cenciosa”, riesce a convincerlo della giusta via (via della povertà) che Francesco ha deciso di percorrere. Nel tormento del padre, vediamo rappresentato l’eterno conflitto che contrappone i figli ai genitori. Bernardone, un padre come tanti nostri padri, che per i figli avrebbero voluto una vita diversa e Francesco un figlio diverso da come l’avrebbe voluto. Un figlio che sceglie di percorrere una strada difficile che lo mette in contrasto con il sentimento dell’epoca e della sua classe sociale. Per Bernardone è difficile capire Francesco. Lui ricco borghese come può pensare ad un figlio santo, che per sorella povertà abbandona agi e ricchezze, e che nella scelta della povertà vede la via per “innamorarsi” di Cristo, per essere prossimo ai fratelli, per avvicinarsi alla Verità. Perché come ci dice lui stesso: “Come fa un padre ad immaginarsi che il figlio diventerà santo, e che le sue mattie non sono di disperazione …”

La sua scelta è scambiata per pazzia, così come la pazzia della Cenciosa (ma in realtà una saggezza coscienziosa) serve per introdurci, nei suoi dialoghi con il padre di Francesco, ai vari episodi della vita del Santo: l’amica Chiara, la Povertà, la Provvidenza, il Lupo di Gubbio, la Morte e tanti altri personaggi ancora che, fra canti e balli, ci fanno vivere e partecipare alla vita di un uomo chiamato Francesco “fratello universale”.

Lo spettacolo si chiude con il Laudato sii, un inno di fratellanza verso tutte le creature compresa “sorella morte”. E mentre tutti i personaggi entrano in scena, verso la fine della lauda Pietro Bernardone entra in scena dal fondo della scena e abbraccerà quel figlio ritrovato, ricco della sua povertà.

Roberto Papa

 

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