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SIAMO TANTO SICURI CHE SIA STATO ALESSANDRO VOLTA, NEL 1799, AD APRIRE
LA STRADA ALLO STUDIO E ALLE APPLICAZIONI DELLA CORRENTE ELETTRICA?
LA PILA DI BAGDAD, UN OGGETTO CHE E’ STATO RITROVATO DOVE NON AVREBBE DOVUTO ESSERE, CHE TEORICAMENTE NON SAREBBE DOVUTO ESISTERE.

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Nel I Parti, che costituirono uno stato indipendente a sud-est del mar Caspio fino al 226 d.C., usarono, se non
addirittura inventarono, una vera e propria batteria elettrica almeno duecento anni prima della nascita di Cristo.
Nel1936, durante alcuni scavi urbanistici nei pressi di Baghdad, venne rinvenuto dall’ing. W. Konig un oggetto incredibile, almeno per la presunta datazione archeologica. Si tratta di un piccolo vaso di argilla nella cui imboccatura, rivestita di pece, era sistemata una barretta di ferro inserita in un cilindro di rame che appariva come corrosa da un acido. I bordi del cilindro di rame erano saldati con una lega di piombo per il 60% e di stagno per il 40%. La barretta era sorretta da un bocchettone di asfalto e un disco di rame era adattato al fondo del cilindro. Il bitume era stato utilizzato per l’isolamento; lo spazio tra le pareti del cilindro di rame e la barra di ferro doveva essere stato riempito con qualche elettrolito.

foto della pila
Il museo di Baghdad catalogò il reperto come oggetto di culto del popolo dei Parti (226-630 a.C.). Affascinato dalla scoperta, il noto studioso Willy Ley incaricò la “General Electric” di Pittsfield di costruire alcune copie esatte degli strumenti, che, riempite di solfato di rame in luogo dell’elettrolito sconosciuto, si dimostrarono perfettamente funzionanti a produrre una leggera corrente elettrica.
A seguito del ritrovamento, ulteriori ricerche dimostrarono l’esistenza di una setta che custodiva il segreto dell’elettricità.
Sembra infatti che nell’antica Babilonia siano venuti alla luce resti di accumulatori fabbricati 3-4 mila anni fa su “istruzioni” egizie.

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E’ importante ricordare, inoltre, che sempre in Iraq, altri scienziati hanno scoperto materiale dorato risalente a quattromila anni fa, materiale che non può essere stato placcato se non mediante l’elettricità.
Nella letteratura greca si fa inoltre menzione di “gioielli che illuminano la notte”: gli antichi non capivano tale fenomeno; se l’elettricità era davvero conosciuta poteva avere solo un uso sacro ed il segreto, celato dai sacerdoti, sarebbe andato perduto insieme ai culti di cui erano depositari. Indubbiamente, qualcuno deve pur averla inventata questa pila, e di sicuro quel qualcuno non è Alessandro Volta, il fisico comasco del primo Ottocento. Dobbiamo ancora prendere atto che non c’è nulla di nuovo sotto il sole: ci limitiamo semplicemente a riscoprire conoscenze che erano già note migliaia e migliaia di anni prima della nostra era.

La pila di Baghdad
L’oggetto consiste in un involucro di argilla gialla, a forma di vaso allungato, delle dimensioni di una mano, con un coperchio di asfalto. All’interno del vaso, retto dal tappo, vi è un cilindretto di rame, lungo 9 cm e largo 26 mm, chiuso anche all’altra estremità da un tappo di asfalto e, all’interno di questo, sempre retto dal tappo esterno, vi è una barra di ferro. L’allora direttore del Museo Iracheno di Baghdad, Wilhelm König, notò somiglianze con contenitori di papiri ritrovati in Seleucia. La sua somiglianza esteriore con una pila a carbone/zinco (le comuni pile a “torcia”) portò König ad ipotizzare che potesse trattarsi di un generatore galvanico.


Non è semplice provare o confutare l’ipotesi che si tratti veramente di una pila. In effetti questo, come qualsiasi oggetto composto da due metalli differenti, può funzionare da rudimentale pila se immerso in una soluzione acidula però in questo modo la corrente generata è minima. Non è facile ottenere una corrente di intensità ragionevole, e far sì che la pila funzioni per più di qualche minuto, quando i due metalli sono rame e ferro, a meno di non usare come elettrolita acidi forti, sconosciuti all’epoca.
In una pila la corrente viene generata tramite due reazioni differenti, che avvengono vicino ai due elettrodi, tra questi e opportunesostanze (elettroliti) disciolte nel liquido in cui sono immersi. Sono stati proposti vari tipi di elettroliti, basati su sostanze conosciute al tempo della “pila”. Se si usa acqua acidulata o salata, questa fa solo da conduttore, permettendo le reazioni:
Fe-> Fe2+ + 2 e- O2 + 2 H2O + 4 e- -> 4 OH-
La seconda reazione avviene con l’ossigeno dell’aria disciolto nell’acqua. Pertanto in questo caso la forma chiusa della “pila” è una scelta poco felice, perché l’ossigeno necessario si scioglie nell’acqua con difficoltà, una reticelle metallica posta subito sotto la superficie in una bacinella avrebbe funzionato molto meglio. Essendo l’oggetto trovato da König un cilindro sigillato, avrebbe potuto funzionare solo per pochi minuti, candidati più promettenti sono gli oggetti simili trovati in Seleucia.

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W.F.M. Gray ha provato ad utilizzare solfato di rame, e la pila riesce a funzionare bene per un breve tempo, finché l’elettrodo di ferro non viene ricoperto da uno strato di rame. Jansen et al. hanno usato benzochinone, una sostanza che si trova nelle secrezioni di alcuni centopiedi, mescolato con aceto. Tutti questi processi funzionano molto male, in quanto manca nella pila di Baghdad un meccanismo (come un setto poroso, o una gelatina) che separi gli elettroliti che reagiscono con i due elettrodi. Comunque la possibilità, remota, che l’oggetto fosse effettivamente una rudimentale pila esiste, e non è al di fuori delle possibilità tecniche del tempo.
È possibile provare in casa a costruirsi una “pila di Baghdad”. Sono sufficienti un pezzo di ferro, un po’ di fio elettrico, un bicchiere di aceto (o di soluzione di solfato di rame), e un tester da hobbista elettronico. Collegate il pezzo di ferro ad un filo, ed immergetelo nella soluzione. Come elettrodo di rame si può utilizzare un secondo filo, spellato per un tratto di qualche centimetro. Potrete verificare personalmente che, anche se la tensione prodotta può raggiungere un volt, la corrente è molto ridotta, non più di qualche milliampere. Potrete inoltre divertirvi a sperimentare le più diverse sostanze come elettroliti.
Secondo i sostenitori della teoria, la pila sarebbe servita per produrre elettroplaccature di oro, o addirittura oggetti in galvanoplastica. Se anche la singola pila non produce una corrente o una tensione sufficiente, basterebbe metterne molte in parallelo, o in serie. Però non abbiamo nessuna evidenza archeologica di oggetti elettroplaccati, nessun reperto conosciuto mostra di essere stato dorato con tecniche galvaniche. A sostegno di questa ipotesi König cita il fatto che tra gli artigiani di Baghdad oggi è in uso una tecnica di doratura galvanica, in cui l’oggetto da dorare è immerso in una soluzione di sali cianidrici d’oro, in un vaso poroso immerso a sua volta in una soluzione di sale. La corrente necessaria viene generata dall’ossidazione di un pezzo di zinco immerso nell’acqua salata, e collegato elettricamente all’oggetto da dorare. Questa tecnica però è molto simile ad un processo brevettato nel secolo scorso in Inghilterra, di cui è probabilmente un adattamento, e contiene differenze importanti rispetto alla “pila”: zinco, molto più facile da ossidare del ferro, un setto poroso tra i due elettroliti, l’uso di sali di cianuro, sconosciuti all’epoca.
D’altro lato, esistono molti indizi che portano a considerare l’oggetto un contenitore di rotoli sacri, utilizzati a scopi magici o propiziatori.
Diversi metalli erano utilizzati per rappresentare divinità, ed esistono paralleli con contenitori simili usati a questo scopo.
Non sono stati rinvenuti nelle sue vicinanze fili metallici o altre indicazioni di un suo uso “elettrico”, e in particolare non è presente il filo che è rappresentato in buona parte delle raffigurazioni di questo oggetto, che sarebbe necessario per collegare elettricamente il cilindro di rame.
Ma anche se l’ipotesi della “pila” fosse corretta, se i Parti avessero realmente realizzato un rudimentale generatore, si tratterebbe solamente di un’altra di quelle scoperte promettenti, che purtroppo si sono perse nel corso del tempo senza che nessuno si fosse mai accorto delle loro enormi potenzialità.
Non c’è nessun bisogno di invocare influenze misteriose, da parte di Atlantidei o di extraterrestri: se davvero questi avessero voluto insegnare ai Parsi come costruire una pila, avrebbero potuto fornire un oggetto meno primitivo ed inefficiente di questo.
Test sulla teoria
L’idea che la batteria potrebbe aver prodotto livelli di energia elettrica utilizzabile è stata messa alla prova almeno in due circostanze.
Nella serie televisiva inglese “Arthur C. Clarke’s Mysterious World” del 1980, l’egittologo Arne Eggebrecht utilizzò una riproduzione della batteria, piena di succo d’uva, che produsse mezzo volt di elettricità, dimostrando che avrebbe potuto placcare una statuetta di argento in due ore utilizzando una soluzione di cianuro d’oro.
Nel programma televisivo Mythbusters (29ª puntata del 23 marzo 2005) furono collegate tra loro 10 “Batterie di Baghdad” costruite a mano e riempite di succo di limone come elettrolita le quali generarono 4 volt di corrente continua. La domanda che pose la trasmissione fu: “A cosa servivano queste antiche batterie?”. La trasmissione diede tre possibili risposte: galvanizzazione, uso medico (elettro-agopuntura) ed esperienza religiosa.
In effetti il “pacco” di 10 batterie aveva abbastanza potenza da placcare un piccolo oggetto. Tramite due elettrodi a forma di ago si poteva eseguire una elettro-agopuntura, ma quando le batterie si esaurivano, la sensazione del paziente migrava verso il dolore.

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Per “testare” l’esperienza religiosa fu costruita una replica dell’Arca dell’Alleanza completa di cherubini. Invece di collegare le ali dei cherubini alle “Batterie di Baghdad”, furono collegate ad un generatore elettrico. Chi toccava l’arca sentiva un forte senso di oppressione al petto. Anche se le “Batterie di Baghdad” non furono utilizzate, si è dedotto che la loro bassa potenza avrebbe comunque generato nei fedeli che non avevano nessuna idea di corrente elettrica e dei suoi effetti la sensazione di una “presenza divina”.

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