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Spunti di riflessione

La legge elettorale (c.d. rosatellum), voluta da una maggioranza ibrida, che ha avuto la necessità del voto segreto per evitare franchi tiratori al suo interno, sarà sicuramente la legge con cui nel 2018 rinnoveremo il Parlamento. Dal 1992 (epoca di “mani pulite”) ad oggi il cittadino italiano si è visto proporre diversi sistemi elettorali, ma nessuno si è affermato, anzi la maggior parte sono stati definiti incostituzionali con grave nocumento per la credibilità democratica delle istituzioni rappresentative.

L’ultimo in ordine di tempo (parte maggioritario e parte proporzionale) non supera certamente il nodo principale: quello della rappresentatività.

Resta, infatti, irrisolto, e non è poco, il problema del rapporto elettore-eletto. Ancora una volta avremo eletti decisi dal cerchio magico dei partiti (i nominati) e non con una selezione che passi per i territori, i circoli, il lavoro politico e perché no? anche le primarie. Forse un ritorno alla “vecchia” politica, altro che rottamazione!, gioverebbe alle istituzioni e al paese. La morte delle ideologie è un po’ come la morte di Dio. Invocata, auspicata ma la storia sta lì a ricordarci che come gli uomini hanno bisogno della trascendenza, così in politica c’è bisogno di dare un senso alla governabilità che non si può ridurre alla semplice gestione del quotidiano, ma deve basarsi su visioni che guardino oltre lo stato di cose presenti.

Un’altra criticità sta nella dimensione dei collegi. Quale rapporto ci potrà essere con collegi formati per la Camera da 250.000 elettori e per il Senato il doppio? oltre quindi a non avere la possibilità di scegliere chi ci rappresenterà, anche il candidato, imposto dal partito, quale rapporto potrà avere con i suoi elettori?

E ancora che senso ha parlare di coalizioni (liquide!) se non viene indicato un leader e senza un programma comune che almeno vincoli le varie forze politiche? Così oltre al “senza vincolo di mandato” avremo anche il “senza vincolo di coalizione” che non sia quello del “vincolo alla poltrona”.

Una delle storture della legislatura in corso è stata quella delle centinaia di voltagabbana, rendendo l’attività politica non certo la massima espressione di carità (come ci ricordava Paolo VI) ma un luogo di privilegio sociale ed economico individuale. Si dice che i politici sono lo specchio del paese reale. Ed è vero. E’ infatti difficile gestire un Paese in una situazione di grave crisi economica e sociale quando i cittadini hanno una coscienza sbrindellata senza una chiara visione del rapporto diritti/doveri. In questa situazione diviene sempre più urgente ricostruire il legame tra cittadini ed istituzioni.

E questo legame lo possono costruire solo partiti non liquidi o leggeri, tanto di moda oggi, ma partiti che ritornino all’origine anche applicando quel principio costituzionale dell’art. 49 “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Occorre ritornare a strutture di partito calate nel territorio che dialoghino con i cittadini, che si facciano carico e rappresentino i loro problemi.

La politica non è solo quello che si fa in Parlamento, o peggio in televisione. La politica parte dai luoghi in cui si vive dal piccolo borgo alla grande città. Un tempo la sezione (oggi diremmo “circoli”) era il luogo dell’elaborazione politica e della selezione della futura classe dirigente, che tale diventava passando attraverso il vaglio di varie istanze e applicandosi allo studio (le famose scuole di partito). Oggi si dice che questo mondo sia finito. Ma chi lo dice è perché vuole far affermare un’altro modo di fare politica, che è poi quella che abbiamo sotto il nostro sguardo, una politica che è più immagine che sostanza, che guarda più al proprio interesse che al Bene comune.

La secolarizzazione non ha colpito solo la religione (in particolare i cattolici) ma anche la politica (parlare oggi di cristianesimo sociale, o di socialismo si rischia la derisione). Ma nella nostra società i mali di allora sono ancora presenti e per certi versi si sono aggravati (pensiamo al lavoro precario, alla denatalità, alla crescente povertà da un lato e all’enorme ricchezza accumulata da pochi). Pensare che una legge elettorale, anche la migliore possibile, possa risolvere i problemi delle persone è l’illusione di chi pensa che basta conquistare il potere e opla! il gioco è fatto. Ma senza un’idea di società alla base resta solo la gestione del quotidiano e se non ci proponiamo di immettere idee e visioni del mondo (vogliamo chiamarle ideologie?) la situazione si aggraverà sempre di più.

E allora tornano utili le parole di Don Milani: Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande “I care”. E’ il motto intraducibile dei giovani americani migliori. “Me ne importa, mi sta a cuore”. E’ il contrario del motto fascista “Me ne frego”. I cattolici, a qualunque partito facciano riferimento, dovrebbero fare proprio il motto “I Care”, affermando senza se e senza ma la propria identità cattolica, senza affermarla contro le altre, dandogli il significato di sentinella che vigila sull’etica pubblica avendo nella mano destra il Vangelo e nella sinistra la Costituzione e ponendo agli altri domande di senso, dall’attenzione verso i poveri ad una maggiore sensibilità per la concezione integrale della persona umana contro il riduzionismo dilagante.

Il cattolico in politica deve superare quel senso di subalternità verso i “fratelli maggiori”, ponendosi invece come testimone e profeta per l’affermazione dei quel Regno di Dio da rendere vivo ora e qui.

Roberto Papa
Responsabile Pastorale Sociale e Lavoro
Diocesi di Palestrina

 

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