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La notizia della strage di Parigi, in un modo o nell’altro, è la reazione generata da un odio di religione che non ha significato di essere.

Ma siamo sicuri che sia solo questo?

Qualcosa del genere non succede anche da noi che, grazie a Dio, non abbiamo la cultura di farci giustizia da sé? Chi si occupa di stampa ne sa qualcosa! Quante porte in faccia, quanti dinieghi e vendette abbiamo e dobbiamo subire solo perché non la pensiamo come loro?

Siamo sugli altari quando parliamo bene di loro, di quelli che, subito dopo, ci tolgono il piedistallo per farci precipitare in quella buca che hanno scavato per affossarci! Condannandoci spesso a quella morte, che se non è fisica, è pur sempre una morte civile.

Durante questi ultimi anni, in cui la salute non mi assiste, continuavo ad interessarmi del mio giornale cartaceo. Ho avuto una processione di politici e di amministratori locali, che hanno bussato alla mia porta per venirmi a portare una parola di conforto. Ma è bastato chiudere per alcuni mesi La Notizia, per impegni non mantenuti da inserzionisti, che mi sono ritrovato solo e senza una parola di conforto se non da quelli che ho sempre considerato amici.

E gli altri? Meglio non parlarne. Sono quelli che ti inviano gli auguri attraverso i messaggini, copia e incolla, tutti uguali, impersonali in occasione delle feste. Credetemi li ho cancellati senza nemmeno leggerli, come pure non ho risposto alle chiamate telefoniche che non erano altro che telefonate di convenienza! Insomma un comportamento, di molti, che equivale ad una pugnalata alle spalle data per toglierti di mezzo.

In un modo o nell’altro praticamente quello che è successo in Francia ad opera di terroristi esaltati addestrati ad uccidere fisicamente i quali non credo nemmeno che abbiano una religione.

Scusate lo sfogo ed alcune mie considerazioni personali, ma fra poco inizia la nuova stagione dei veleni, la politica torna ad essere la regina dell’informazione. E state sicuri che alla fine avrò la schiena piena di ferite, dato che sono in molti che non hanno il coraggio di colpirti al petto.

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Su FB hanno pubblicato un link nella bacheca di un mio amico egiziano, la pubblico perché conoscendo quel mondo, diverso dal nostro, lo condivido appieno. 

Non in mio nome

 di Igiaba Scego

Oggi mi hanno dichiarato guerra. Decimando militarmente la redazione del giornale satirico Charlie Hebdo mi hanno dichiarato guerra. Hanno usato il nome di Dio e del Profeta per giustificare l’ingiustificabile. Da afroeuropea e da musulmana io non ci sto.

“Not in my name”, dice un famoso slogan, e oggi questo slogan lo sento mio come non mai. Sono stufa di essere associata a gente che uccide, massacra, stupra, decapita e piscia sui valori democratici in cui credo e lo fa per di più usando il nome della mia religione. Basta! Non dobbiamo più permettere (lo dico a me stessa, ai musulmani e a tutti) che usino il nome dell’islam per i loro loschi e schifosi traffici.

Vorrei che ogni imam in ogni moschea d’Europa lo dicesse forte e chiaro. Sono stufa di veder così sporcato il nome di una religione. Non è giusto. Come non è giusto veder vilipesi quei valori di convivenza e pace su cui è fondata l’Unione europea di cui sono cittadina. Sono stufa di chi non rispetta il diritto di ridere del prossimo. Stufa di vedere ogni giorno, da Parigi a Peshawar, scorrere sangue innocente. E ho già il voltastomaco per i vari xenofobi che aspettano al varco. So già che ci sarà qualcuno che userà questo attentato contro migranti e figli di migranti per qualche voto in più. C’è sempre qualche avvoltoio che si bea delle tragedie.

È così a ogni attentato.

A ogni disgrazia cresce il mio senso di ansia e di frustrazione. A ogni attentato vorrei urlare e far capire alla gente che l’islam non è roba di quei tizi con le barbe lunghe e con quei vestiti ridicoli. L’islam non è roba loro, l’islam è nostro, di noi che crediamo nella pace. Quelli sono solo caricature, vorrei dire. Si vestono così apposta per farvi paura. È tutto un piano, svegliamoci.

Per questo dico che mi hanno dichiarato guerra. Anzi, ci hanno dichiarato guerra.

Questo attentato non è solo un attacco alla libertà di espressione, ma è un attacco ai valori democratici che ci tengono insieme. L’Europa è formata da cittadini ebrei, cristiani, musulmani, buddisti, atei e così via. Siamo in tanti e conviviamo. Certo il continente zoppica, la crisi è dura, ma siamo insieme ed è questo che conta. I killer professionisti e ben addestrati che hanno colpito Charlie Hebdo vogliono il caos. Vogliono un’Europa piena di paura, dove il cittadino sia nemico del suo prossimo. E in questo vanno a braccetto con l’estrema destra xenofoba. Tra nazisti si capiscono. Di fatto vogliono isolare i musulmani dal resto degli europei. Vogliono vederci soli e vulnerabili. Vogliono distruggere la convivenza che stiamo faticosamente costruendo insieme.

Trovo bellissimo che alla moschea di Roma alla fine del Ramadan, per l’Eid, ci siano a festeggiare con noi tanti cristiani ed ebrei. Ed è bello per me augurare agli amici cristiani buon Natale e agli amici ebrei happy Hanukkah. È bello farsi due risate con gli amici atei e ridere di tutto. Si può ridere di tutto, si deve. Ecco perché questo attentato di oggi è così pauroso. Fa male sapere che degli esseri umani siano stati uccisi da una mano vigliacca perché volevano solo far ridere, ma fa male anche capire il disegno che c’è dietro, ovvero una volontà di distruzione totale.

Una distruzione che sapeva chi e cosa colpire.

Niente è stato casuale. Sono stati spesi molti soldi da chi ha organizzato il massacro. Sono stati scelti uomini addestrati. È stato scelto un target, la redazione di un giornale satirico, che era sì un target simbolico, ma anche facile da attaccare. Tutto è stato studiato nei minimi dettagli. D’altronde una dichiarazione di guerra lo è sempre. Chi ha compiuto questo attentato sa cosa produrrà. Sa il delirio che si sta preparando. Allora se siamo in guerra si deve cominciare a pensare come combatterla. In questi anni la teoria della guerra preventiva, dell’odio preventivo, delle disastrose campagne di Iraq e Afghanistan hanno creato solo più fondamentalismo.

 

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Forse se si vuole vincere questa guerra contro il terrorismo l’Europa si dovrà affidare a quello che ha di più forte, ovvero i suoi valori. Chi ha ucciso sa che si scatenerà l’odio. Ora dovremmo non cascare in questa trappola. Ribadire quello che siamo: democratici. Ha ragione la scrittrice Helena Janeczek quando dice che liberté, égalité, fraternité è ancora il motto migliore per vincere la battaglia. E i musulmani europei ribadendo il “Not in my name” potranno essere l’asso nella manica della partita. L’Europa potrà fermare la barbarie solo se i suoi cittadini saranno uniti in quest’ora difficile.

Antonio Gamboni

 

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