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Un viaggio dall’Inferno al Paradiso

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Sabato scorso a Palestrina si è vissuto un “sabato dantesco”. Ben due eventi, purtroppo quasi in contemporanea, hanno fatto rivivere ad un pubblico attento e partecipe, un viaggio, anzi il Viaggio per antonomasia: quello di Dante accompagnato da Virgilio attraverso le pagine della Divina Commedia.

Quello che segue non vuole essere l’esatta cronaca dei due eventi, ma come diceva un settimanale del passato “i fatti separati dalle opinioni” di chi scrive.

Nella ricorrenza del 750 anniversario dalla nascita di Dante, Palestrina, che pure qualcosa deve all’autore della Commedia, ha rivissuto nella lettura dei suoi versi un pezzo della sua storia: la distruzione operata da Bonifacio VIII a seguito del “consiglio fraudolento” da parte di Guido da Montefeltro, quando Bonifacio VIII gli disse:“Il tuo cuore non abbia timore: io ti assolvo fin d’ora, purché tu mi mostri come devo fare per abbattere la rocca di Palestrina”

“E’ poi ridisse: “Tuo cuor non sospetti;
finor t’assolvo, e tu m’insegna fare
sì come Penestrino in terra getti”
(Inferno, Canto XXVII, 100-102)

Due eventi dicevamo. Il primo si è svolto nella sala della Trifora a Palazzo Barberini sede del Circolo Simeoni, organizzatore dell’incontro, dal titolo “Ulisse alla radice dell’uomo moderno”, relatore il Prof. Melis, che ha fornito ai presenti una gran quantità di spunti di riflessione tra un passato e un presente, coadiuvato nella lettura di alcuni canti della Commedia da Emanuele Venditti e dall’accompagnamento musicale del maestro Alessandro Melone che ha ottenuto un notevole successo personale, suonando al piano in apertura il preludio in do maggiore da “Il clavicembalo ben temprato” di J. S. Bach e chiudendo la serata con il Requiem di Mozart. Meritano certamente un plauso gli organizzatori del Circolo Simeoni per aver abbinato alla lettura di alcuni versi della Commedia due brani musicali (Bach e Mozart) la cui bellezza espressiva ha conquistato l’uditorio tanto da ricordare un verso di Dante:

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“Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona”
(Inferno, Canto V, 103-105)

E che fa dire al teologo Inos Biffi: “Chi non li ha ascoltati almeno una volta nella vita è come se avesse smarrito un momento importante della sua esistenza, quasi fosse mancato a quegli appuntamenti dove si comprende in un breve lasso di tempo cosa sia la bellezza o come sia possibile conoscere l’armonia assoluta”.

IMG_0027-1Il secondo incontro si è svolto all’Auditorium a cura di Giovani Nuovi associazione della Diocesi di Palestrina che ha visto un Prof. Antonio Fiorito, affabulatore che trascina l’uditorio, conquistare giovani e adulti alla conoscenza di Dante anche qui accompagnato nella lettura da un gruppo di giovani, tra i quali merita di essere ricordato Filippo Giusti che ha conquistato i presenti con una recitazione a memoria di un intero canto della Commedia. Filippo è un giovane di Castel San Pietro che merita di essere seguito e da cui ci aspettiamo altre interpretazioni di pregio.

Melis e Fiorito, come novelli Virgilio, hanno preso per mano gli uditori e li hanno condotti in un viaggio di conoscenza di alcuni dei più bei canti della Commedia, avendo come filo conduttore alcuni segni che ne indicavano il cammino: il viaggio, la conoscenza, il tendere a Dio, il superamento dell’umano, la misericordia.

Riassumere in una pagina di giornale la ricchezza e complessità dei due interventi significa fare torto all’impegno profuso dai due relatori. Mi limiterò a porre l’attenzione su alcuni passaggi, e queste sono miei riflessioni su quanto ascoltato, che possono darci il senso dell’attualità di Dante oggi.

Un viaggio non solo dentro la Commedia, ma attraverso il tempo con la voce di scrittori che dalla Commedia sono stati influenzati: Pessoa, Ritsos, Primo Levi per citarne alcuni.

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Pessoa, il poeta portoghese degli eteronimi che richiama l’Ulisso polytropos, l’eroe dai mille volti, e che del viaggio dice: “E’ in noi che i paesaggi hanno paesaggio. Perciò, se li immagino, li creo; se li creo, esistono; se esistono, li vedo……La vita è ciò che facciamo di essa. I viaggi sono i viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo, ma ciò che siamo”.

Ritsos, che insieme a Kavafis e Seferis, è considerato il più grande poeta greco del novecento, lui che capovolge il mito di Ulisse, viaggiatore della conoscenza, per mostracelo nello sgomento di Penelope come un miserabile vecchio.

Primo Levi di “Se questo è un uomo” che nel verso dantesco “Considerate la vostra semenza”…ritrova il fondamento per acquisire la consapevolezza che il lager, luogo fondato sulla miseria e la barbarie, è stato creato e voluto dalla stessa specie che può raggiungere livelli elevatissimi con l’arte e la letteratura.

“Fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”.
(Inferno, Canto XXVI, 118-120)

I versi di Dante hanno il potere di evocare il mondo fuori dal lager, spazi aperti, orizzonti sterminati, mari e montagne familiari. Ulisse è l’uomo che esprime una delle sue aspirazioni più alte, il desiderio di conoscenza.

E poi per finire con il Dante della Misericordia, che nel silenzio inquietante del “gran diserto” risuona all’inizio della Commedia:

“«Miserere di me», gridai a lui,
qual che tu sii, od ombra od omo certo!”
(Inferno, Canto I, 65-66)

Nel grido del Miserere c’è tutta la richiesta di aiuto che ci fa riconoscere come uomini bisognosi, uomini che tendono la mano all’altro, nella speranza che l’altro si conceda alla nostra miseria e ci salvi. E così come la Misericordia apre la Commedia, la Misericordia la chiude con l’invocazione di San Bernardo alla Vergine Maria, la “Madre della Misericordia”, nella quale il grande mistico riconosce che “s’aduna” (“è presente”) al massimo grado proprio questa virtù:

 In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontate
(Paradiso, Canto XXXIII, 19-21)

In Maria alla misericordia si aggiunge la pietate.

Un sabato dantesco, dicevamo, che in questo anno del Giubileo della Misericordia, rimanda ad un altro Giubileo quello del 1300 in cui si celebrò da parte di Bonifacio VIII il primo Giubileo. Il 1300 è l’anno in cui Dante affronta il Viaggio nei tre regni dell’oltretomba.

Ascoltare le profonde riflessioni sul Viaggio, sebbene da due prospettive diverse, hanno offerto una chiave di lettura sul nostro presente generando anche domande: l’ansia di ricerca spinta all’estremo limite, offrirci indicazioni su come si muovono i flussi culturali ma anche morali ed etici. Uno su tutti è quel superamento dell’umano che in Dante diventa il peccato che condanna l’eroe per il fatto di aver disdegnato i limiti imposti alla natura umana.

Nella visione dantesca si confrontano due posizioni che anche oggi ritroviamo nel dibattito che attraversa la nostra società. Un riflessione sul Dante della Commedia può offrire a ciascuno di noi quel discernimento per poter leggere i segnali sparsi nel nostro tempo. La prima vede nel viaggio di Ulisse un viaggio orizzontale, tutto umano che si basa sulla conoscenza e sul superamento dei sui limiti (la conoscenza scientifica). La seconda vede nel viaggio di Dante un viaggio “verticale” che tende a cogliere il significato universale e spirituale della vita (la tradizione ebraico-cristiana).

La Commedia è il paradigma di ogni autentico viaggio in cui siamo invitati a lasciare “l’aiuola che ci fa tanto feroci” (Paradiso, Canto XXII, per giungere ad una nuova condizione il nuovo umanesimo, in cui regna la pace , l’armonia, la felicità, “l’amor che move il sole e l’altre stelle” (Paradiso, Canto XXXIII, 145).

E’ il dibattito che in questi giorni attraversa la società quando vengono descritti scenari fantascientifici popolati da cyborg e da nuove tecnologie che vorrebbero far uscire l’uomo da una condizione segnata da caducità, finitezza e fragilità, un uomo che assiste oggi ad un progressivo stravolgimento naturale, qualcuno l’ha definita “mutazione antropologica” che si basa sull’artificializzazione della vita, la sua progressiva de-naturalizzazione, la dissoluzione di ogni legame strutturato.

Il sistema di pensiero che sorregge questo “attacco sistematico” è la concezione del corpo come uno strumento, dall’uso puramente tecnico, fungibile e intercambiabile. Questo piano ideologico, che comprende anche temi quali l’eugenetica, la possibilità di trapianti di cervello ma anche la fecondazione eterologa e la maternità surrogata, coincide con una vera e propria “progettazione del postumano”. In Dante, ovviamente, tutto questo non c’è, ma se vogliamo che un testo classico non rimanga confinato in buie e polverose biblioteche, ma parli ancora a noi contemporanei, dobbiamo attraverso la lettura di un canone classico quale la Commedia rispondere a domande sul senso della vita nell’era postumana, usando quel canone per “rifondare i valori” che ci aiutino a governare la tecnica e a tutelare la persona.

Proprio oggi che assistiamo a vari tentativi di fondare un’antropologia del postumanesimo, secondo cui la tecnologia, più che la scienza, ha distrutto l’idea di una natura immutabile dell’uomo, rendendo l’uomo un essere malleabile, modificabile. Un termine oggi di moda ci dice che viviamo in una società fluida dove lo stesso essere umano è diventato fluido, privo di una sua natura, di una sua identità dove ne consegue che anche etica e morale finiscono per essere totalmente determinate storicamente, e quindi sempre ripensabili e modificabili (pensiamo a tutto il dibattito della teoria di genere). E’, per ritornare a Dante, quella visione dell’uomo “orizzontale” tutto chiuso in un orizzonte quotidiano che lo riduce a un “dato di fatto” in cui la sua vita si può comporre e scomporre.

Ritornare ai classici, in questo caso Dante, ci permette di attrezzare il nostro pensiero alle sfide che ci aspettano.

Roberto Papa

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