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Il solo nome di Pompei – emblema dell’italica incuria del patrimonio culturale – suscita in noi indignazione, mista ad incredulità e a un sottile senso d’impotenza. E tuttavia c’indigniamo di fronte ai crolli pompeiani ma lasciamo silenziosamente andare in rovina il patrimonio storico e artistico che ci circonda, forse meno celebre e meno appariscente e tuttavia importante per la comunità a cui appartiene.

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Così lunedì 4 agosto, verso sera, nella chiesa di San Pietro a Zagarolo un tabernacolo marmoreo d’incerta datazione, ritrovato per caso nei depositi, è stato installato sul settecentesco altare di Sant’Anna, nella prima cappella a destra dell’altare maggiore: la soglia destinata a sorreggere fiori e candelabri è stata scavata in spessore di muro per potervi incastrare la scatola marmorea. È stato così manomesso in forma invasiva un luogo che era stato soggetto non molti anni fa ad un restauro, diretto dalla Soprintendenza ma finanziato da un privato locale, che aveva recuperato buona parte dell’assetto originario, comprese le tinte chiare che un tempo caratterizzavano l’intera chiesa.
È ben difficile che l’installazione di questo nuovo tabernacolo – peraltro d’incerto utilizzo futuro, trovandosi in una cappella che costituisce passaggio obbligato per la sagrestia – sia stato effettuato con l’avallo delle autorità competenti, che dovrebbero sempre essere chiamate in causa – o per lo meno avvisate – qualora si decida d’intervenire su di un manufatto artistico: ad ogni modo, una richiesta di accertamento alla Soprintendenza è stata inviata da chi scrive.

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Perché la questione non è tanto quella della liceità o meno di apportare modifiche in un ambiente storico protetto dalla legge italiana quanto appunto il rispetto di tale legge, che non impedisce a rigore cambiamenti e innovazioni, ma li sottopone al vaglio da parte di esperti ed eventualmente a modifiche che garantiscano il rispetto del monumento.
Si tratta, in fondo, di una semplice questione di rispetto della legalità, prima ancora che di rispetto del patrimonio, e finanche di buon senso: perché se la Soprintendenza dovesse giudicare fuorilegge i lavori e pretendere il ripristino dello status quo ante, ciò comporterà inevitabilmente anche degli oneri per le già non pingui casse della parrocchia, oltre che ulteriori lavori e un nuovo restauro che – ad ogni modo – non potrà recuperare l’integrità di un altare ormai danneggiato.
I crolli di Pompei hanno raggiunto ormai dimensioni apocalittiche, ma la maggior parte del patrimonio artistico italiano sparisce nel silenzio, rosicchiata a poco a poco da episodi come questo: che è l’ultimo, ma non l’unico avvenuto di recente a Zagarolo.

Ne potremmo snocciolare un intero rosario, anche solo restando nell’ambito degli edifici religiosi.  Se la devastazione della collegiata di San Lorenzo è ormai così lontana nel tempo che pochi ne ricordano la data esatta, solo qualche anno fa la Rettoria della Chiesa dell’Annunziata decise di affidare ad un imbianchino locale la tinteggiatura della volta della seconda cappella di sinistra. Gli stucchi seicenteschi – opera di grandissimo pregio – che disegnavano sulla volta una raffinata rete di tralci di vite e grappoli d’uva, vennero imbrattati nel tentativo di una colorazione naturalistica: un eventuale restauro sarà difficile, costerà ai cittadini cifre assai impegnative, e chissà se riuscirà a recuperare l’immagine originaria.

Più recentemente nella chiesa conventuale di Santa Maria, è stata chiusa con una lastra di marmo la teca vitrea dell’altare maggiore, che custodiva il corpo di San Leopardo: manomettendo e rovinando anche in questo caso un altare settecentesco, probabilmente dovuto allo stesso architetto Niccolò Michetti che aveva progettato San Pietro e – sia detto per inciso – anche le residenze degli Zar intorno a San Pietroburgo… perché dimentichiamo che in campo storico-artistico non esistono opere di serie A e opere di serie B, ma che tutto è collegato in contesti che sorpassano grandemente la nostra percezione dello spazio e del tempo: così che non è impossibile che nella piccola Zagarolo si conservino opere create da un artista che fu tra i protagonisti dell’arte russa del Settecento.

Opere preziose, che non ci appartengono, che abbiamo ricevuto dai nostri padri e che dovremmo trasmettere ai nostri figli. Opere, come l’altare di Sant’Anna nella chiesa di San Pietro, che dovremmo trattare con un po’ più di rispetto, e di buon senso.

Di Gabriele Quaranta

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