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Si dice solo cittadini o cittadine e cittadini? Solo ragazzi o ragazze e ragazzi? E via di questo passo in tanti altri termini correnti: sindaco, ministro, bambino e così via.

Sembra che le grammatiche italiane o non le studia più nessuno o nuove mode impongono di parlare e scrivere come pare e piace a chiunque. Ogni regola non viene rispettata. Non ha importanza chi l’ha scritta. Si usa oggi manifestare pubblicamente ogni dissenso anche a regole e principi universalmente validi e condivisi dai più.

Il bello del discorso è che le libere manifestazioni, il più delle volte, si tramutano in atti vandalici, in violenze di ogni genere, non escluse quelle verbali. I cittadini, tutti i cittadini, a maggior ragione i minori e gli studenti, manifestassero pure per chi vogliono e contro chi vogliono, ma rispettando persone e cose. In modo civile, non allo stesso modo di calate barbariche.

La parola non ha più alcun valore, né grammaticale, né sintattico, né tantomeno etico morale. Travisa la stessa realtà in ossequio a principi e ideologie in perenne conflitto dialettico tra loro. Non si riesce mai a trovare il benché minimo accordo o una costruttiva intesa.

Non si dialoga, si è sempre in contrapposizione. È da qui che scaturisce la violenza. Non c’è volontà di comprendersi.

E la torre di Babele, secondo i costruttori che volevano raggiungere il cielo, non lo ha raggiunto, né mai lo raggiungerà. È per punire la loro sciocca presunzione che è avvenuta la confusione delle lingue.

A che serve, a questo punto, stare a sottilizzare su un nome, se dirlo solo al maschile o anche al femminile?

Perché non discutiamo anche sul sesso degli angeli o se il pelo della capra è anche quello una lana?

I polli ridono? Facciamo ridere i polli con certe assurde controversie. Atteniamoci al rispetto delle leggi, all’ educazione e al buonsenso. La realtà è una sola e non è sempre bella. Quando non lo è abbiamo almeno il coraggio di guardarla. Altrimenti rischiamo di perderci nel deserto del nulla.

Pino Pompilio

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