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VENERDI’ 14 GIUGNO H. 21.00 A PALAZZO ROSPIGLIOSI

E’ un adattamento dell’omonima opera di Molière, della quale si cambiano le ambientazioni, ma non la graffiante nota satirica, attraverso cui quattro secoli orsono il commediografo francese tracciava un quadro, non troppo distante da quello a noi noto, della piccola-media borghesia che rifiuta le sue radici e consacra la propria esistenza al vano e ridicolo tentativo di elevarsi a uno stato sociale e culturale che non gli appartiene.

E proprio in questa fragile illusione affogano i fallimenti che hanno accumulato per anni, gli unici trofei di famiglia che possono liberamente esporre nei loro salotti fastosamente ammobiliati, costellati di libri che non leggeranno mai, dove però magari mancano sia l’acqua corrente che la luce elettrica, che hanno considerato una spese superflua, d’altronde meglio rinunciare a una bolletta che ad un abito griffato.

In questo sceneggiato teatrale non c’è spazio per degli eroi, ci troviamo infatti di fronte a una guerra fra vinti, vinti dai loro limiti, dalle loro passioni, dalle loro ambizioni. Tra le pagine di questo copione non trovano posto neanche moralità o morale, ma Molière non è Fedro e non c’è per tanto da stupirsi.

Questa opera coincide invece con la tomba della moralismo, che si perde nei prolissi monologhi di Amilcare , che più che un profumiere è un vero e proprio incantatore, al pari di quei prodighi presentatori di televendite che, senza sapere come, ci convincono a comprare oggetti che passiamo un’intera vita a chiederci dove mettere.

Maddalena e Caterina, meglio note come le preziose, sono invece i serpenti di questo immortale incantatore, che attraverso la retorica sembra piegare il mondo al suo volere. Arroganti, superficiali e ingenue, le preziose sono il frutto di una vita vuota e senza virtù, che in cambio della promessa di un’eterna giovinezza avrebbero consegnato allo stesso Diavolo, che non è poi così diverso dal caro profumiere.

Convinte di essere l’emblema di una femminilità aristocratica a cui non si adatta il loro status di provinciali, cercano di porre un fittizio rimedio alla loro condizione, usando parole di cui ignorano il significato e modi signorili, che stonano con le loro naturali movenze grottesche, dando la stessa sensazione di quando si spruzza del profumo sopra il puzzo. Molière forse riservava un avvenire migliore solo per Mariotta, la serva delle due preziose, vista come una portatrice dei valori popolari, come l’incarnazione della figura hegeliana del servo che tramite il lavoro si emancipa e riesce finalmente a liberarsi dai capricci del proprio padrone, o in questo caso, delle proprie padrone, che si trovano a essere completamente dipendenti dai suoi servigi e dalla sua intelligenza.

Ma anche Mariotta inizialmente così critica, quasi investita di un’aura da sindacalista, sembra infine cedere alla lusinghe della cupidigia, questa volta non incarnate da una lupa come Dante ci insegna, ma da Amilcare, di cui poi finisce per innamorarsi. Persino le vecchiette, tradizionalmente depositarie di un’antica saggezza, sono qui complici di questo malsano e corrotto gioco che attraversa lo spazio e il tempo. In questa commedia perciò non ci sono né valorosi cavalieri, né innocenti vergini che aspettano di essere salvate dai loro principi azzurri.

Se questo è il tipo di storia che cercate, siamo spiacenti ma Molière non può accontentarvi , in compenso però può offrirvi qualcosa di migliore: la verità. La verità di un mondo che si sviluppa, ma non progredisce, che si guarda sempre di più allo specchio, ma mai in faccia. Ma attenti cari spettatori perché, citando Molière, <<prima o poi un demone impudente ci smaschera quando meno ce lo aspettiamo>>, e chissà se anche voi dovreste scoprire di essere esattamente come coloro di cui ridete.

Aurora Mocci

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